La fibrillazione atriale è l’aritmia più diffusa nella popolazione generale e la sua prevalenza tende a crescere con l’aumentare dell’età.
Che cos’è la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia più diffusa nella popolazione generale, la sua prevalenza tende a crescere con l’aumentare dell’età e spesso è associata a sintomi che possono invalidare e peggiorare la qualità di vita, a causa delle complicanze a cui sovente si correla.
Nella fibrillazione atriale l’attività elettrica degli atri è completamente disorganizzata e non corrisponde a un’attività meccanica efficace. Il nodo atrioventricolare riceve dall’atrio moltissimi impulsi ed esercitando una funzione di filtro, ne trasmette ai ventricoli un numero limitato, che corrisponde alla frequenza cardiaca rilevata durante l’elettrocardiogramma. Questa variabilità della conduzione atrioventricolare fa sì che i ventricoli si contraggano in maniera irregolare. La contrazione irregolare e rapida delle camere cardiache determina una riduzione del volume di sangue espulso a ogni sistole, dando così un alterato apporto ematico a tutti gli organi, a volte generando sintomi e segni di scompenso cardiaco.
Spesso i primi episodi di fibrillazione atriale iniziano e terminano spontaneamente dopo poche ore: si tratta della cosiddetta fibrillazione atriale parossistica. Se non curati, questi episodi con il passare dei mesi e degli anni aumentano in frequenza e durata. Qualora un episodio insorto non regredisse spontaneamente, sarà necessario l’intervento esterno per terminarlo (fibrillazione atriale persistente: che dura più di 7 giorni; fibrillazione atriale che termina con cardioversione). L’intervento esterno è costituito dalla cardioversione elettrica (DC shock) o farmacologica (infusione di un farmaco in vena), mirate all’interruzione della fibrillazione atriale e al ripristino del ritmo cardiaco normale (sinusale). Quando invece non si ritengono più opportuni tentativi di terminazione dell’aritmia, a causa della lunga durata della stessa o delle condizioni e comorbidità del paziente, si parla di fibrillazione atriale permanente.
Quali sono le cause della fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è un’aritmia che insorge in presenza di condizioni predisponenti; le principali sono concomitanti patologie cardiache quali: precedente infarto miocardico, scompenso cardiaco, vizi valvolari, ipertensione arteriosa. Talora la fibrillazione atriale insorge a causa di un’alterazione della funzionalità tiroidea o a causa di una patologia polmonare. In un numero ridotto di casi l’aritmia si manifesta senza una causa evidente.
La fibrillazione atriale, in pazienti affetti dalle suddette patologie o in quelli predisposti all’insorgenza dell’aritmia, viene innescata da alcuni impulsi elettrici anomali, provenienti da cellule cardiache che si trovano nelle fibre muscolari presenti nel primo tratto delle vene polmonari (trigger). Le vene polmonari sono condotti venosi che portano sangue ossigenato dai polmoni all’atrio sinistro. L’area maggiormente coinvolta nella genesi della fibrillazione atriale è costituita dai segmenti della giunzione vena-atrio, dove risiedono frequentemente i foci aritmogeni.
Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?
I sintomi correlati alla fibrillazione atriale sono cardiopalmo aritmico (battito cardiaco veloce e irregolare), astenia, debolezza, mancanza di respiro, scarsa tolleranza allo sforzo fisico, dolore cardiaco. In presenza di questi disturbi il paziente deve effettuare un accesso al pronto soccorso, al fine di eseguire un elettrocardiogramma e quindi formulare una corretta diagnosi.
Talora la fibrillazione atriale può decorrere asintomatica (senza dare sintomi) e il suo riscontro può essere occasionale. Qualora invece i suddetti sintomi fossero lievi, è comunque necessario eseguire un consulto presso un cardiologo elettrofisiologo/aritmologo (cardiologo che studia le aritmie cardiache).
Diagnosi della fibrillazione atriale
La diagnosi di fibrillazione atriale viene formulata dal cardiologo o aritmologo dopo visione di un elettrocardiogramma (ECG). L’aritmologo spesso si avvale di altre indagini per confermare e indagare la fibrillazione atriale.
1) Esami ematici generali comprensivi di funzione tiroidea, funzione renale ed elettroliti.
3) Holter ECG dinamico 24-48 ore.
4) Impianto di Loop recorder, ossia un dispositivo sotto pelle, tipo microchip che registra continuamente il battito cardiaco.
Trattamento della fibrillazione atriale
Di fronte alla diagnosi di fibrillazione atriale è necessario valutare qual è il rischio cardioembolico del paziente. La scelta riguardo la terapia anticoagulante viene effettuata in base alla valutazione del punteggio CHA2DS2-VASc (indicatore di rischio). I pazienti con punteggio CHA2DS2-VASc elevato sono candidati al trattamento anticoagulante orale. Successivamente, in accordo con il paziente e in base alle caratteristiche dell’aritmia e alle condizioni cliniche del soggetto, si decide la strategia terapeutica più adeguata: ripristino del normale ritmo cardiaco o controllo della frequenza cardiaca in corso di fibrillazione atriale.
Ripristino e mantenimento del ritmo normale del cuore
La procedura con cui si interrompe la fibrillazione atriale e si recupera il normale ritmo del cuore è la cardioversione. Questa può essere eseguita mediante DC shock elettrico (in corso di una breve anestesia generale) oppure mediante la somministrazione di farmaci antiaritmici in vena, come sopra citato. Spesso prima di eseguire una cardioversione è necessario visionare esami ematici ed effettuare un ecocardiogramma transesofageo (che permette la visione più accurata delle camere atriali) al fine di escludere la presenza di formazioni trombotiche atriali. Il mantenimento del normale ritmo cardiaco, dopo cardioversione, può essere ottenuto utilizzando farmaci antiaritmici.
Ablazione transcatetere
Qualora la terapia farmacologica non fosse efficace o tollerata è possibile eseguire il trattamento “elettrico” ossia l’ablazione della fibrillazione atriale. L’ablazione transcatetere è una procedura interventistica cardiaca che ha lo scopo di eliminare i foci atriali che generano l’insorgenza di fibrillazione, eliminando la necessità di assumere farmaci antiaritmici. L’ablazione viene eseguita in regime di ricovero ospedaliero, in una sala operatoria dedicata, in anestesia locale o totale. Durante la prima parte della procedura viene effettuato lo studio dell’aritmia (studio elettrofisiologico), eseguito mediante l’introduzione nelle cavità cardiache di speciali sonde diagnostiche (elettrocateteri multipolari) con i quali si esegue un mappaggio elettrico della fibrillazione atriale. L’accesso al sistema cardiocircolatorio avviene mediante la puntura della vena femorale; attraverso questa vena vengono posizionati gli elettrocateteri e i sistemi di ablazione. La procedura di ablazione si esegue infatti mediante uno di questi elettrocateteri, che viene avanzato in atrio sinistro mediante una tecnica particolare (accesso atriale sinistro con puntura transettale). L’elettrofisiologo utilizzando il catetere ablatore, esegue delle piccole cauterizzazioni, di dimensioni millimetriche, a livello delle aree responsabili dell’insorgenza di fibrillazione atriale, creando delle vere e proprie linee di barriera contro l’insorgenza e la propagazione della fibrillazione atriale: isolamento elettrico delle vene polmonari. La navigazione all’interno delle camere cardiache avviene con l’ausilio di sistemi di mappaggio 3D, che permettono di aumentare il livello di precisione della procedura ablativa e di ridurre la quantità di raggi X utilizzati. Una volta raggiunto l’isolamento elettrico delle vene polmonari si valida la procedura mediante stimolazione da vena e da atrio: raggiunto il blocco bidirezionale la procedura si ritiene conclusa. Il paziente al termine riporterà solo 3 piccole punture a livello della vena femorale destra. Dopo 8 ore dalla procedura ablativa il paziente si mobilizza e la mattina successiva, previa monitorizzazione del battito e controllo dell’accesso vascolare, potrà essere dimesso dall’ospedale. L’ablazione della fibrillazione atriale è correlata a un’ottima probabilità di mantenimento del normale ritmo cardiaco.
L’ablazione della fibrillazione atriale mediante radiofrequenza o crioenergia è citata come procedura all’interno delle linee guida.
Controllo della frequenza cardiaca in corso di fibrillazione atriale
Quando i trattamenti per il mantenimento del normale ritmo cardiaco risultano inefficaci, o in corso di fibrillazione atriale asintomatica a frequenza moderata, spesso la strategia di trattamento consigliata è il “controllo della frequenza”. Questo obiettivo può essere raggiunto mediante l’utilizzo di farmaci in grado di ottimizzare la frequenza cardiaca media (es. farmaci betabloccanti, digitale, verapamil) in corso di fibrillazione atriale che viene considerata ormai permanente. Il target è raggiungere una frequenza cardiaca tra 60 e 90 battiti al minuto.
Quali pazienti possono effettuare il trattamento ablativo?
Tutti i pazienti affetti da fibrillazione atriale sintomatica, parossistica o persistente, per i quali il farmaco antiaritmico non è stato sufficientemente efficace nella prevenzione delle recidive aritmiche. L’ablazione può essere considerata come terapia di prima scelta per i pazienti con fibrillazione atriale sintomatica, come alternativa alla terapia farmacologica.
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