L‘epilessia è un disturbo neurologico caratterizzato dalla predisposizione all’insorgenza di crisi epilettiche (o comiziali). È una delle malattie neurologiche più frequenti, con prevalenza di circa l’1% (500.000 pazienti) in Italia.
La crisi epilettica è un evento clinico provocato da una scarica elettrica anomala a livello della corteccia cerebrale, localizzata o diffusa, che può essere asintomatica o provocare disturbi anche significativi. In presenza di epilessia, è sempre necessario un trattamento volto a ridurre o possibilmente eliminare le crisi, sia per la possibile gravità dei sintomi, sia perché talora le perdite di coscienza possono risultare pericolose durante alcune attività. La terapia, farmacologica o, in alcuni casi, chirurgica, è in grado di tenere sotto controllo la condizione nell’80% dei casi.
Quali tipi di crisi epilettiche ci sono?
Le crisi epilettiche si dividono essenzialmente in crisi parziali (dette anche focali) e crisi generalizzate.
Le crisi parziali originano da un focolaio epilettogeno in una regione della corteccia cerebrale, cioè da un’area che possiede un’anomala eccitabilità, e la loro manifestazione clinica dipende dall’area interessata. Le crisi generalizzate, a differenza di quelle parziali, coinvolgono invece tutta la corteccia cerebrale e provocano normalmente una completa perdita di coscienza.
Quali sono le cause dell’epilessia?
Le cause dell’epilessia sono diverse a seconda che si tratti di una forma parziale o generalizzata.
Nell’epilessia focale sintomatica, la causa più comune è la presenza di lesioni strutturali, quali aree ischemiche, emorragiche, tumori, o anche cicatrici di pregressi traumi o interventi chirurgici, e in tal caso si parla di epilessia parziale secondaria o sintomatica. In altri casi, pur essendoci evidenza clinica o strumentale dell’origine delle crisi da una specifica area cerebrale, gli esami radiologici quali TC o RM (risonanza magnetica) non sono in grado di mostrare alcuna lesione strutturale, e si parla pertanto di epilessia focale criptogenica.
Nell’epilessia generalizzata, esistono le forme idiopatiche, in cui si ritiene che il paziente, per una predisposizione individuale, o talora ereditaria, abbia una ridotta soglia epilettogena per cui la sua corteccia cerebrale può andare incontro a una crisi epilettica anche in assenza di cause o stimoli esterni specifici. Esistono alcune condizioni predisponenti, quali astinenza o abuso di psicofarmaci, etilismo acuto o cronico, disordini metabolici o elettrolitici, che hanno il ruolo di fattori scatenanti in pazienti già affetti da epilessia, ma che in certi casi possono costituire l’unica causa della malattia, e vanno pertanto corrette. In presenza di tali fattori predisponenti, o di un evento cerebrale recente, si parla di crisi sintomatica acuta.
L’epilessia in generale ha due picchi di incidenza durante il corso della vita: il primo durante l’infanzia, il secondo nella popolazione anziana, dopo i 65 anni. Tali picchi riflettono le cause più comuni, che sono le forme generalizzate idiopatiche o congenite, a insorgenza di solito in età infantile, e le patologie cerebrovascolari e neurodegenerative, la cui insorgenza cresce con l’aumentare dell’età.
Quali sono i sintomi dell’epilessia?
Nelle crisi parziali, i sintomi dipendono dall’area cerebrale interessata. Quindi a seconda del coinvolgimento dell’area motoria, sensitiva o del linguaggio possono insorgere scatti, movimenti anomali, formicolio, disturbi sensitivi, difficoltà a parlare. Sono possibili anche fenomeni visivi, gustativi, alterazioni del comportamento, sensazioni di estraneità o di deja-vu.
Fra le crisi generalizzate, i tipi più comuni sono le assenze (piccolo male) e le crisi tonico-cloniche (grande male). Nelle crisi di assenza il soggetto diventa improvvisamente incosciente, spesso a occhi aperti, di solito non cade e non presenta disturbi motori. Nelle crisi tonico-cloniche, alla perdita di coscienza si associano contrazioni muscolari diffuse, che provocano la caduta a terra del paziente. È spesso presente contrattura mandibolare, cianosi temporanea del volto con ingombro respiratorio, e successivamente un periodo di recupero di durata variabile. Esistono poi altri tipi di crisi generalizzate meno frequenti quali le crisi toniche, atoniche o miocloniche.
Diagnosi
La diagnosi di epilessia è primariamente clinica, cioè basata sull’accurata descrizione degli episodi critici da parte del paziente, quando possibile, o delle persone che hanno osservato gli eventi. Gli esami diagnostici più importanti sono l’elettroencefalogramma (EEG) e la RM dell’encefalo (o, se non possibile, TC). L’EEG è una registrazione dell’attività elettrica cerebrale che può permettere di evidenziare alcune anomalie, dette epilettiformi, che pongono il sospetto, o talora sono patognomiche, di una condizione epilettica. La Risonanza magnetica dell’encefalo è invece fondamentale per ricercare o escludere una patologia cerebrale strutturale, che va considerata nella decisione di impostare un trattamento antiepilettico, e se possibile trattata dal punto di vista eziologico. EEG e RM encefalo possono comunque essere del tutto negativi anche in casi certi di epilessia, per cui il primo step diagnostico è sempre rappresentato da un’accurata raccolta anamnestica e visita neurologica.
Trattamenti
Mentre la singola crisi epilettica non va trattata farmacologicamente, salvo casi molto particolari, l’epilessia, cioè la tendenza al ripetersi di crisi epilettiche, richiede sempre un trattamento che va protratto almeno fino al completo controllo delle crisi.
La prima misura da adottare consiste nel rimuovere i possibili fattori scatenanti, quali soprattutto abuso di psicofarmaci, alcol e droghe, misura che in alcuni casi può essere anche l’unica necessaria, se tali fattori rappresentano l’unica causa della malattia.
Se anche in assenza di fattori scatenanti, il soggetto presenta comunque crisi comiziali, va introdotto un trattamento farmacologico che ha il fine di eliminare, o controllare nel modo migliore possibile, le manifestazioni epilettiche.
In casi specifici, e laddove vi sia una scarsa risposta al trattamento farmacologico, va preso in considerazione il trattamento chirurgico, che richiede un’accurata selezione del paziente e un approccio multidisciplinare.
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