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Malattie immunitarie: un test di laboratorio per riconoscere lHLH secondaria

24 Maggio 2022

La presenza di una sottopopolazione di linfociti T nel sangue consente di diagnosticare la malattia e predirne la gravità. I risultati dello studio pubblicati sulla rivista Blood.

Un semplice esame di laboratorio in grado di diagnosticare e predire la gravità della linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) secondaria, una rara e grave sindrome iperinfiammatoria, fino a oggi molto difficile da riconoscere. Questo è ora possibile grazie allo studio condotto dal Bambino Gesù che ha individuato una sottopopolazione di linfociti T che è molto aumentata nei pazienti con HLH secondaria ed è in grado di distinguere tali pazienti da quelli con malattie autoinfiammatorie«Una scoperta che ha implicazioni cliniche rilevanti che cambieranno la diagnosi e la gestione dei pazienti con varie forme di HLH» spiega il dottor Fabrizio De Benedetti, responsabile di Reumatologia dellOspedale e corresponding author della ricerca. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Blood.

LA LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA O HLH

La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una malattia caratterizzata da uneccessiva attivazione dei macrofagi, le cellule spazzino che abitualmente eliminano le cellule infettate, ma che in questa malattia eliminano anche le cellule sane. Questo porta a uniperinfiammazione sistemica e a insufficienza multiorgano. È una patologia che può essere mortale se non diagnostica e trattata per tempo. Per questo è importante riconoscerla subito, cosa fino a oggi molto difficile.

Esistono due forme di linfoistiocitosi emofagocitica: la forma primaria, o familiare, e la forma secondaria, o acquisita. La forma primaria ha una causa genetica, mentre la secondaria può presentarsi come complicanza di diverse patologie. I fattori scatenanti possono essere le infezioni virali (ad esempio la Sindrome Infiammatoria Multisistemica o MIS-C causata dal Covid-19), le neoplasie maligne, le immunodeficienze, le malattie metaboliche e le malattie autoinfiammatorie. Quando lHLH secondaria è associata alle malattie reumatiche, viene comunemente chiamata sindrome da attivazione macrofagica (MAS).

LO STUDIO 

Lo studio condotto dallarea di ricerca di Immunologia in collaborazione con quella di Oncoematologia ha dimostrato che nel sangue dei pazienti affetti da HLH secondaria esiste una sottopopolazione di linfociti T che consente di diagnosticare la malattia in maniera affidabile e di prevederne levoluzione. La ricerca è stata condotta sulle cellule del sangue periferico di 99 pazienti pediatrici, di cui 46 con HLH secondaria.

Per lindagine dei campioni è stata utilizzata la citofluorimetria o citometria a flusso, una tecnica multiparametrica di laboratorio che fornisce per ogni cellula numerosi dati (vitalità, dimensioni, complessità, fenotipo, ecc.).

I RISULTATI

Lo studio ha dimostrato che nei pazienti con HLH secondaria i linfociti T attivati (esprimenti i marcatori di membrana CD38, HLA-DR e CD8) sono presenti in numero nettamente superiore rispetto a quello riscontrato in pazienti con malattie autoinfiammatorie, quali i pazienti con artrite idiopatica giovanile sistemica.

I ricercatori hanno inoltre identificato una nuova sottopopolazione cellulare di linfociti T (chiamata CD4dimCD8+), il cui numero elevato nel sangue predice la gravità della HLH secondaria. Più questa sottopopolazione cellulare è numerosa, più grave sarà lesito prognostico.

«Uno degli aspetti più importanti dei risultati ottenuti con questo studio – spiega la dottoressa Giusi Prencipe, biotecnologo medico del Bambino Gesù e coordinatrice dello studio – è limmediata traslazionalità. Vale a dire che è possibile, come stiamo già facendo presso il nostro Ospedale, trasferire subito i risultati nella pratica clinica a tutto vantaggio dei bambini e delle loro famiglie».

LE PROSPETTIVE 

I risultati dello studio hanno immediate ricadute sulla diagnosi e sulla presa in carico dei pazienti con HLH secondaria. È ora possibile con un semplice test di laboratorio diagnosticare con grande affidabilità e in tempi molto brevi la malattia e la sua evoluzione: basta infatti un piccolo prelievo di sangue e luso della citofluorimetria. Questo consente una presa in carico precoce, che è fondamentale per iniziare rapidamente luso dei trattamenti più appropriati e quindi per migliorare la prognosi.

«Non è sempre facile riconoscere lHLH attraverso i sintomi e i classici esami di laboratorio, soprattutto allesordio – commenta il dottor Fabrizio De Benedetti, responsabile dellunità operativa di Reumatologia dellOspedale – Con lindividuazione di questa popolazione cellulare è invece possibile effettuare precocemente sia la diagnosi che la prognosi. Un risultato ancora più importante se si pensa alle possibilità offerte dai nuovi farmarci biologici, come lanticorpo monoclonale emapalumab».

Il Bambino Gesù ha già coordinato in passato il trial clinico sull’uso di questo farmaco per l’HLH primaria. Un nuovo trial sulluso dellemapalumab per il trattamento dellHLH secondaria si è da poco concluso. I risultati di questultima sperimentazione saranno presentanti in anteprima al prossimo congresso europeo di reumatologia EULAR 2022, che si terrà dall’1 al 4 giugno a Copenaghen, in Danimarca.

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