FEBBRE EMORRAGICA: LE EMORRAGIE SONO CAUSATE DALLA RISPOSTA INFIAMMATORIA ALL’INFEZIONE
04 APRILE 2022
virus della febbre emorragica (HFV) – tra cui la nota Ebola, nonché i meno conosciuti Machupo e Junin, diffusi in vari paesi del Sud America – sono spesso citati su giornali, film e romanzi per il loro sintomo più impressionante: il sanguinamento interno ed esterno che colpisce fino al 30% o all’80% dei pazienti, a seconda dello specifico HFV.
Ma come fanno queste infezioni a causare sanguinamento senza recidere i vasi sanguigni? Una prima risposta alla domanda arriva da uno studio pubblicato su Science Signalling . La ricerca, condotta nei laboratori di livello 3 di biosicurezza – gli unici in cui è possibile manipolare i pericolosi virus della febbre emorragica – è stata coordinata da Luca Guidotti , vicedirettore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele, e di Zaverio Ruggeri, docente presso lo Scripps Research Institute di La Jolla, USA, dove il prof. Guidotti ha lavorato per più di 20 anni e dove è tuttora professore a contratto.
Cosa sono i virus della febbre emorragica
I virus della febbre emorragica sono un gruppo di virus a RNA, appartenenti a famiglie diverse, che sopravvivono all’interno dei cosiddetti serbatoi naturali – specie animali o insetti – nelle aree tropicali e subtropicali del pianeta. Mentre l’Ebola e altri virus della stessa famiglia (chiamati filovirus), hanno i pipistrelli come riserva naturale, le febbri emorragiche sudamericane, come Machupo o Junin (della famiglia degli Arenavirus), sopravvivono nelle specie di roditori.
Quando questi virus si riversano dagli animali all’uomo, provocano malattie sistemiche con decorso molto rapido e spesso letale, soprattutto se non curate precocemente. Le febbri emorragiche sono caratterizzate – come suggerisce il nome – da emorragie ematiche, sia interne che esterne, che si manifestano attraverso i tessuti e le mucose. Ad oggi, non ci sono farmaci antivirali approvati per prevenire o trattare le VHF e la terapia è principalmente di supporto.
“Fortunatamente la trasmissione di questi virus tra le persone è poco efficiente e il loro alto tasso di mortalità rende il contagio ancora più difficile” spiega Giovanni Sitia , Group Leader della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e uno dei autori senior dello studio pubblicato oggi su Science Signaling . “Ecco perché le epidemie di febbri emorragiche – comprese le più grandi e riportate dai media, come l’epidemia di Ebola che tra il 2014 e il 2016 ha ucciso più di 10.000 persone in Africa occidentale – non hanno il potenziale per diventare pandemie e rimanere geograficamente confinati”.
Il meccanismo all’origine dell’emorragia
“I virus della febbre emorragica provocano infezioni molto intense in brevissimo tempo. In risposta all’aggressività, il sistema immunitario innesca una potente reazione infiammatoria” continua Giovanni Sitia. “I pazienti infetti, infatti, hanno livelli molto elevati di interferone di tipo I, un infiammatorio molecola fondamentale per combattere i virus, ma che abbiamo riscontrato essere responsabile del sintomo più pericoloso delle infezioni da HFV: le emorragie”.
Per comprendere meglio il meccanismo alla base delle emorragie, il gruppo di ricercatori ha studiato nei topi l’infezione di un virus chiamato LCMV, della famiglia degli Arenavirus, a cui appartengono alcuni dei più pericolosi virus della febbre emorragica argentina. LCMV è in grado di infettare anche l’uomo, ma è pericoloso solo nei pazienti immunosoppressi e per il resto è ben controllato dal nostro sistema immunitario.
“Quello che abbiamo scoperto è che gli alti livelli di interferone innescati dall’infezione nel midollo osseo ostacolano la produzione di piastrine. Non solo il loro numero nel sangue diminuisce drasticamente ma la loro funzionalità si riduce: non sono più in grado di rilasciare le sostanze che consentono ai vasi sanguigni di rimanere intatti” spiega il prof. Guidotti, che ha coordinato la ricerca. “Questo fa sì che i vasi – in particolare i capillari, che rappresentano oltre il 98% del totale in lunghezza – diventino permeabili: i globuli passano attraverso le loro pareti e provocano sanguinamento nei tessuti”.
La scoperta apre la strada allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici per queste malattie e potrebbe avere implicazioni in altri contesti, come quello oncologico: tra gli effetti collaterali della chemioterapia ci sono infatti sanguinamenti ed ematomi molto simili, dovuti all’impatto che questi farmaci hanno sulla funzionalità del midollo osseo e sulla conta delle piastrine nel sangue.